Cobain montage of heck

E’ stato bello vederlo insieme a te my Elizabeth =)

Dall’infanzia nella piccola Aberdeen, nello stato di Washington, alla morte, che lo ha consegnato e strappato allo stesso tempo alla storia del post rock, il documentario ricostruisce la vicenda artistica e biografica del leader dei Nirvana, Kurt Donald Cobain. Le interviste di rito alla moglie, alla madre e alla sorella, alla prima fidanzata, al compagno di palco Krist Novoselic, non distolgono dalla centralità in cui Morgen tiene fermo il suo oggetto d’indagine, la sua rabbia già infantile, l’impegno nella musica, l’emozione della paternità, la dannazione dell’eroina. Ne esce un Cobain privato, grazie al tanto materiale quotidiano e famigliare a cui il regista ha avuto accesso, che non contraddice però l’immagine pubblica consegnata in vita e testimonia così di un’autenticità rara per una rockstar, che fa certamente parte delle ragioni dell’amore che la sua generazione (e non solo) ha nutrito per lui e per il suo modo di essere, su e giù dal palco.
Brett Morgen è un veterano del documentario musicale, ma non capita tutti i giorni di misurarsi con un talento e un dramma come quello di Kurt Cobain. Morgen si pone dunque come il curatore del film, piuttosto che il suo autore: colui che ne verifica i contenuti, lo stile, si preoccupa cioè di rendere il testo all’altezza delle aspettative dell’autore. Vorrebbe spingerci a credere che l’autore, in un certo senso, sia Kurt Cobain stesso: Montage of heck è il nome che il frontman dei Nirvana ha dato alle sue prove d’artista, alle registrazioni mai divulgate, un nome che racconta già il grumo di ambizione e insicurezza, passione e distanza che lo animava e lo rincorreva. E il film lascia largo spazio alla voce di Cobain, all’autonarrazione e alle parole della sua musica.
Poi c’è Frances Bean, la figlia, che produce e commissiona, e alle aspettative della quale Morgen non può non aver pensato. Ma alla fine dei conti, Brett Morgen si rivela ben più del regista di un film di repertorio; si configura se mai come un demiurgo con una chiara visione delle cose, così chiara da scontrarsi con il mistero della vita umana e da sollevare più volte la sensazione che stia sconfinando nel terreno dell’interpretazione personale anziché del documento.
Associando fotografie, frasi, stralci di infanzia e di prima maturità, entusiasmi, ossessioni, un film nel film (di animazione), propone, in fondo, una coerenza ricostruita che potrebbe non essere così certa, una diagnosi che non ha gli strumenti per stilare. Se si conosce il fastidio di Cobain per la sovrainterpretazione delle sue intenzioni, il suo affidare alle canzoni le parole che non aveva alcune intenzione di distribuire altrove, è un approccio che può lasciare perplessi. Basta allora apprezzare la ricchezza del materiale proposto, in quantità e qualità, senza per questo doverlo considerare un lavoro “definitivo” sull’argomento; basta pensare che, se c’è davvero un braccio di ferro invisibile nel film tra burattinaio e burattino, lo vince comunque Cobain, sebbene non gli possa venir concessa una replica. Lo vince perché la sua musica sfugge alla gabbia di Morgen, i suoi testi resistono alle facili elucubrazioni, la sua voce detiene l’ultima parola, escludendo dolcemente che possa mai venire dall’esterno.